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Mi ricordo quella sera – stasera – che il presagio di tuoni e lampi violentissimi annunciava come l’ultima, prima di una notte densa di fantasmi e di rimpianti. Mi ricordo le sigarette fumate a turno con mio fratello, come se l’alba non dovesse più arrivare, la perdita di cognizione del tempo, e il film di una vita intera scorrere insieme alle ore funestate da tutto quanto occorso e da quanto ignoto. Mi ricordo che non sapevo che di lì a poche ore avrei iniziato un diario rubando il titolo a Roland Barthes perché la scrittura esorcizzasse l’incubo, durasse il tempo necessario al dolore e poi accettasse di essere lasciato andare. Mi ricordo che non si dimentica, ma qualcosa di atono si installa in noi.

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Mi ricordo che i miei scrigni – fin da piccola – sono stati le scatole di latta dei biscotti. Il primo omaggio d’amore (acerbo e precocissimo) ricevuto da un mio coetaneo fu un uovo di gattuccio. E i miei gioielli più preziosi (ancor oggi) sanno di terra, di mare e radici: grani di ceramica raku, ammoniti, conchiglie, ossidiana, ambra, ossi di seppia, come una regina senza tempo.

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Mi ricordo – in barba a tutto quanto occorso, trascorso o mai accaduto – di aver sempre considerato una fortuna il fatto che taluni esseri esistano e/o che – seppure per un breve attimo – abbiano sfiorato la mia vita. Mi ricordo, in particolare oggi, questi versi di Neruda: cuando te digan / que te olvidé, y aun cuando / sea yo quien lo dice, / cuando yo te lo diga, / no me creas.

Bella ed amabile illusione è quella per la quale i dì anniversari di un avvenimento, che per verità non ha a fare con essi più che con qualunque altro dì dell’anno, paiono avere con quello un’attinenza particolare, e che quasi un’ombra del passato risorga e ritorni sempre in quei giorni, e ci sia davanti: onde è medicato in parte il tristo pensiero dell’annullamento di ciò che fu, e sollevato il dolore di molte perdite, parendo che quelle ricorrenze facciano che ciò che è passato, e che più non torna, non sia spento né perduto del tutto. […] E tale immaginazione è sì radicata nell’uomo, che a fatica pare che si possa credere che l’anniversario sia così alieno dalla cosa come ogni altro dì: onde il celebrare annualmente le ricordanze importanti, sì religiose come civili, sì pubbliche come private, i dì natalizi e quelli delle morti delle persone care, ed altri simili, fu comune, ed è, a tutte le nazioni che hanno, ovvero ebbero, ricordanze e calendario. Ed ho notato, interrogando in tal proposito parecchi, che gli uomini sensibili, ed usati alla solitudine, o a conversare internamente, sogliono essere studiosissimi degli anniversari, e vivere, per dir così, di rimembranze di tal genere, sempre riandando, e dicendo fra sé: in un giorno dell’anno come il presente mi accadde questa o questa cosa.

(Giacomo Leopardi, Pensieri XIII)

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Mi ricordo di tutte le volte che nella mia vita ho parlato da sola, come stanotte guidando verso casa. Mi ricordo che chiunque potesse essere l’interlocutore immaginario, assente o perduto le mie parole sembravano più convincenti del solito e capaci di rendere possibile l’inimmaginabile. Mi ricordo che parlare da sola rendeva più chiare le cose, pacificandomi.

Pubblicato in: Identità

Mi ricordo che De Andrè mi è sempre stato del tutto indifferente, tanto come uomo che come cantautore. Strano per una che vive di testi e di musica… Ma mi ricordo anche che finché avremo bisogno di miti, paladini ed eroi stiamo messi piuttosto male.

Pubblicato in: Libri, Stagioni, Stati d'animo

Mi ricordo che nelle storie di Guillaume Musso le cose decisive – istigate dalla passione o dall’irrinunciabile necessità di chiudere una partita o di fare i conti con la propria esistenza – si affastellano a ritmo serrato nei giorni di dicembre prossimi alle festività, di solito attanagliate dal gelo, dalla neve o comunque da un clima estremo che quasi sottolinea l’urgenza della rapidità di movimenti e decisioni. Gli antefatti, i ricordi, le vite altre, appartengono invece a temperature più miti e svaporate, e procedono lentamente, dilatandosi fino a perdere forma, spessore, profumo, voce. Mi ricordo che non è un tepore – né un silenzio – confortevole, e che aprile (in letteratura e nella vita) resta spesso il più crudele dei mesi.

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Mi ricordo che la neve in riva al mare ha una bellezza che stordisce. Annulla il margine sottile che divide la terra dal cielo, permettendo – in quella luce che stordisce – che l’una si versi nell’altro.

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Mi ricordo per quanto tempo ho desiderato qualcosa di simile alla serata appena trascorsa, e quanto tempo ci ho messo a realizzare che (Igor, avevi ragione) le cose accadono quasi sempre quando smetti di desiderarle con quella intensità.

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Mi ricordo (anzi, mi sono ricordata, improvvisamente, per un corto circuito di quelli che accadono solo nella mia testa) che mi avevi proposto il gioco dei menu. Ci eravamo promessi meraviglie stuzzicando le reciproche memorie sensoriali, ognuno per quello che la sua vita poteva scendendo a patti con una comunicazione “al buio” fatta di distanza.
Mi ricordo il mio entusiasmo. La mia gioia. L’aver fatto appena in tempo a buttare in pentola pochi ingredienti, ad annusare un paio di vini e sorseggiare altrettanti rum.
Concedimi – quasi tre lustri dopo – di provarne profonda nostalgia.